Il mutamento d’epoca c’è. E va abitato. Senza nostalgie per i tempi passati e per la “cristianità perduta”. Reagendo, soprattutto, alla vera pandemia dei nostri tempi, che è quella dell’individualismo, della ricerca del benessere fine a se stesso, senza pensare all’esistenza dell’altro. “In questo senso, Il Covid-19, con il suo carico di sofferenza, ci ha provocato”. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha aperto con questo invito la trentacinquesima Settimana sociale dei cattolici trevigiani. L’appuntamento – promosso dalla Vita del popolo, l’Azione cattolica di Treviso, il Meic, l’Ufficio diocesano di Pastorale sociale, con la collaborazione di “Partecipare il presente” e del Collegio Pio X – affronta quest’anno il tema “Transizioni – La sfida della sostenibilità in un mutamento d’epoca”. Un titolo che fa da sfondo anche al calendario del Network per il Bene comune, creato da varie realtà che nel territorio promuovono iniziative di formazione sociopolitica.
Ad ascoltare l’arcivescovo, nell’auditorium San Pio X, un pubblico attento; ma anche coloro che hanno partecipato all’appuntamento in uno dei sei luoghi del territorio diocesano allestiti dall’Azione cattolica (Asolo, Fonte, Castelfranco Veneto, Scorzè, Casale sul Sile e Zero Branco); e coloro che hanno seguito la diretta attraverso YouTube.
“La Dottrina sociale e la profezia di Francesco: strumenti per abitare il mutamento d’epoca” il tema affidato al cardinale Zuppi.
Il suo intervento si è dipanato proprio a partire da alcuni termini del titolo della serata: il mutamento d’epoca, il verbo “abitare”, che “rischia di sapere un po’ da ecclesialese, ma è comunque pertinente e azzeccato”, il magistero di Francesco e la sua profezia.
“Mutamento d’epoca” è un’espressione che anche il Papa ha usato. Ci troviamo di fronte, ha ammesso il porporato, di fronte a un mondo complesso, di fronte al quale davvero, come ha detto Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. “E questo vale sempre, non solo per la pandemia, non possiamo pensare, appunto, di vivere sani in un mondo malato”.
Il cambiamento d’epoca “è una cosa seria, ci chiede di essere all’altezza”. Ci chiede, appunto, di “abitare” questo tempo. Di “capire quello che sta succedendo, di scrutare i segni dei tempi”. Un esercizio che non si fa in modo accademico, ma con l’amore.
Uno dei segni che scorgiamo con nitidezza, ha fatto notare l’arcivescovo, è “la fine della cristianità, che non significa fine del cristianesimo o della Chiesa. E’ così, che ci piaccia o no, il Papa lo ha detto in un discorso alla Curia romana. Non è detto che sia una cosa solo negativa, perché con la cristianità finiscono alcune acquisizioni, alcune incrostazioni”.
Certo, questa situazione, che si è verificata in modo repentino, nell’arco di alcuni decenni, ha una causa profonda: “Non abbiamo capito la forza dell’individualismo, la ricerca del benessere individuale, mentre invece il cristianesimo ci provoca, per alcuni aspetti «ci rovina la vita». Oggi tutti i diritti sono coniugati in modo individuale, senza il «noi»”.
Proprio qui entra in gioco la “profezia” di Francesco, delineata nell’enciclica Fratelli tutti, che mette in evidenza quello che oggi è il primo ruolo della Chiesa cattolica. Sfidare, appunto, profeticamente, questa deriva individualista, vivendo il Vangelo. Il cardinale ha citato Cassiodoro, il quale afferma: “Sarò mio quando sarò stato tuo”. “Io non sono senza l’altro, è l’idea centrale di Fratelli tutti”, ha aggiunto il cardinale Zuppi. I cristiani, quindi, non sono chiamati, come qualcuno vorrebbe, a estraniarsi da questo tempo, a pensare di attendere che i barbari se ne vadano. “In realtà, anche i monasteri del Medio Evo erano luoghi aperti, di accoglienza, e poi l’individualismo non conosce zone franche, entra dappertutto”. Piuttosto, occorre “ascoltare, fare un pezzo di strada assieme alle persone”, senza pensare immediatamente a una riconquista. Piuttosto, si tratta di “svelare la presenza di Dio” tra gli uomini, come afferma il Papa in Evangelii Gaudium.
Entra, qui, un’altra espressione di papa Francesco: la Chiesa come “ospedale da campo”, capace di chinarsi sulle sofferenze, per farsi essa stessa convertire. L’attenzione ai poveri diventa, allora, un caposaldo: “Del resto, saremo giudicati su questo. E quando il Papa parla di periferie non intende solo quelle geografiche, ma tante situazioni esistenziali. Penso alle crescenti realtà di solitudine, alle tante persone che hanno problemi di relazioni”.
In ogni caso, ha concluso il cardinale Zuppi, “ogni crisi è generativa”. Accadrà anche stavolta. Un’opportunità è questa attenzione alla “sostenibilità”, altra parola chiave di questa Settimana sociale, anche i riferimento al Piano nazionale di rinascita e resilienza: “Oggi si tratta di costruire qualcosa che cambierà le nostre vite nei prossimi vent’anni”. Una sfida nella sfida.